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sabato 13 febbraio 2010

remake di un vecio film

Ethan e Joel, premiata ditta, hanno fatto il remake di "Fratello, dove sei?" ("Brother, where art thou?") innovandolo ampiamente. Il mito resta. Non si rincorre più Itaca ma le belle Sodoma e Gomorra. Ammazza, aò!

martedì 3 novembre 2009

venerdì 9 ottobre 2009

Di che pasta sono (A straight story)

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A magna’ e beve… avevo appena messo lo zafferano nelle salsicce che friggevano sbriciolate. Da parte l’acqua bolliva e gli spaghetti ci ballavano dentro. Stappo il bianco, due dita a svaporare. Fra poco la panna quando bussano al citofono. Non è il momento, quello del magna’ e beve, di pigiare pulsanti altrui. In genere non rispondo né al telefono né al citofono, ma siccome non aspettavo nessuno ho dovuto farlo – non so se mi spiego. All’altro capo una voce educata ma accorata, con accento che dapprima mi è parso sforzato nella dizione, toscaneggiante avrebbe detto mia nonna la sarta quando a inventare abiti si credeva emancipata. La voce mi chiedeva se avessi tempo, cinque minuti. A due minuti è scesa saputo della panna. Ho pensato ai testimoni di geova: orario, educazione e fastidio: tre indizi una prova. Sfioro il vaffanculo perché già la religione… poi farne un porta a porta già basta Lourdes da Vespa con regolarità da medicinale. Ma di colpo mi pare cosa poco nuova, il timbro, l’accento: forse veicolato da Vespa più che mendicante fede mi pare mendichi e basta: la voce di un venditore. Sto a sentire. La parlata dell’uomo al citofono è fatta di una bocca che si dilata poco, che prende gli spazi per articolare i suoni sgusciando lateralmente in basso, e palato e lingua sono a stretto contatto come legati da olii. Non capisco, non riconosco, ma quasi ce l’ho. Nel frattempo mi concentro sul contenuto del messaggio, dovessi trarne spie… Mi dice il tizio che è venuto a spiegarmi certe sue vicende processuali, roba di due cause su a Milano, due farse, dice, che bisogna andare avanti, spiegare in televisione e alla radio, che gli italiani sono con lui, e allora c’è da sbugiardare per mostrare la pasta… che ci si gasa… que viva l’Italia… con la pasta… col gas…
La pasta, il gas. Ci sono. Finalmente capisco: o è un venditore ambulante o lo schema della digestione.

mercoledì 30 settembre 2009

Jim


Come volete. Forse Jim Morrison non è la voce più struggente degli ultimi 150 anni. Nemmeno la più lirica. Forse i suoi testi, musicati e non, manco si avvicinano ad essere i migliori degli ultimi 150 anni. E la sua morte? Anche su quello c’è gente che, sempre negli ultimi 150 anni, ha saputo fare di meglio. Ma tutti questi primati solo sfiorati, se congiunti creano, non fosse altro che per l’impegno speso, i crismi dell’icona. La foto, la riproducibilità dell’immagine, e quel particolare broncio da condannato, fermano la storia perché la si ammiri fantasticando. Ora, la forza dell’icona è la sua capacità di ossessionare in virtù di quell’attimo esteso nell’immaginazione. E torna l’icona, il viso, la faccia. Torna più di sempre. Resta sospesa fra i nessi elettrici del cervello. E si rielabora, si trasforma. A volte si trasfigura. Quando soffriamo piglia le sembianze degli incubi inconfessati. Infine sopravvive alla morte. Ah la morte, bella a volte quando arriva!

lunedì 28 settembre 2009

Quadri che non quadrano

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Jacques Louis David è il massimo esponente della pittura neoclassica in Francia. Prima di imburrarsi allo splendore del Bonaparte prediligeva soggetti tratti dalla mitologia civica dell’antica Roma per la loro adattabilità alle virtù rivoluzionarie. Poi arrivò il nano. I nani di potere non solo – e sia detto con sommo rispetto – hanno il cuore vicino al buco del culo come si cantava, ma hanno la rara facoltà di essere presi per pittoreschi finché non ti sono ormai alle spalle brache chine. Si noti tuttavia come, nel dipinto, il volto di Napoleone sia insolitamente fastidioso, antipatico, stracciato da un ghigno superbo e malefico. Fondamentalmente brutto ma convinto del contrario, e alquanto vuoto, superficiale, vanitoso senza ragione. Viene quasi il dubbio che David abbia voluto sfotterlo il suo nano.

ps: il blog verrà aggiornato con totale incuranza e sprezzo di ogni sistema anche se non so esattamente cosa voglia dire. A presto.

giovedì 4 giugno 2009

"Quando la nave affonda", tre variazioni sul tema

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Qui, sommariamente, si esaurisce il mio ragionamento sulle opportunità politiche delle più rilevanti parti. Credo che qui sia anche la mia intenzione di voto, eppure ancora non l'ho colta. Credo infine che qui, dopo tutto, inizi ufficialmente l'ora in cui l'approccio a questo genere di faccende diventi finalmente del medesimo ma contrario senso unico col quale tali faccende si approcciano a me. E' stato un anno orribile, carico di lutti e perdite di parenti e conoscenti, di malattie cieche e di improvvise saette. Questo genere di esperienze, e la capacità dell'organismo umano - comprensivo di mente o spirito o comunque vogliate chiamare l'aspetto divino delle quattro ossa - di reagire e ricostruire e rielaborare, di ficcare mattoni nelle paludi finché queste non sprofondino... questo genere di cose insomma sposta il baricentro. Nei luoghi estremi si rischia il cattolicesimo, il cinismo o il romanticismo. Ma la morte, il rischio e la consumazione, sono esseri troppo umorali e geometrici per figurare valichi metafisici. Così se sei fortunato e lucido puoi permetterti di cancellare in una vampata tutte le fregnacce inutili che ti graffiano i piedi. Volare cioè, volare pazzi.

Ci si vede lunedì dopo le elezioni. Ho da festeggiare mia nipote.

martedì 2 giugno 2009

lunedì 25 maggio 2009

va pe' viagra

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se riconosci la tua donna o tua figlia

mercoledì 6 maggio 2009

Il presidente cretino


Io sono qui per rispondere alle sue domande. Lei mi chiede se per uscire dalla crisi economica, che ovviamente ha danneggiato di meno l’Italia rispetto ad altri paesi solo perché l’Italia non era in una fase di eccessiva crescita, se per uscire dalla crisi economica, dicevo, sia necessario il pieno smantellamento dello stato sociale come fecero i bei vecchi Reagan e Thatcher? Io le rispondo che Luigi, mio figlio, è proprio come il padre. Non gli piacciono le feste. Appena raggiunto un traguardo è già lì che guarda al successivo. Mia figlia Barbara i diciotto anni li ha festeggiati a Las Vegas. Tutto a spese mie. Io non ci sono andato, ma ci ho mandato il portafoglio. Una grande - le trasmissioni riprenderanno alle ore 6.00 - festa in maschera stile settecento veneziano, e quando alla fine tutti si sono tolti le maschere Barbara con sorpresa ha scoperto che si trattava dei suoi amici e amiche. Erano andati là. Tutti tranne me. Ma tutti a spese mie. Ho chiamato Eleonora per chiederle se avessi partecipato alla sua festa dei diciotto anni, ma lei neanche si ricordava se ne avesse fatta una. Nel 2006 Veronica si è - le trasmissioni riprenderanno alle ore 6.00 - commossa. A Marrakech ha ricevuto una splendida sorpresa da me che mi sono presentato travestito da nobile berbero, e non da danzatore eh, con un regalo che lei ha intuito quanto fosse importante quando ha letto sulla confezione il nome di un noto gioielliere. Pensare che mi credeva a parlare al parlamento italiano. Sognatrice! Idealista come tutte le belle donne! Per quanto riguarda le candidature, cerchiamo di scegliere donne intelligenti e non sgradevoli. C’è la moglie del vicepresicazzo degli industriazzi, c’è la fidanzata del figlio del dottor Letta, che già aveva la strada abbastanza spianata – ha fatto un paio d’anni di signorina buonasera in rai, e un paio di fiction di cui ricordo, per caso, il titolo di quella trasmessa dalle mie televisioni “Carabinieri”. Alla festa di Noemi, se è questo il fulcro della sua domanda, in sostanza ci sono andato per fuggire dai cori d’amore che mi rivolgevano al salone del mobile a Milano. Ne ero sinceramente imbarazzato. Poi lì ho fatto foto con i camerieri e i cucinieri perché penso sempre alla gente più umile. Ah, a proposito di pappa calda, per quanto riguarda quei poveracci nelle tendopoli ho tante buone notizie: ad esempio abbiamo allestite novantanove cucine dei cui cuochi tutti dicono lodi.

Tratto da una storia vera. E tragica.

lunedì 30 marzo 2009

amore e interessi

‘O presid€nt’… De Gaulle… i giacobozzi patriotti… i berretti verdi… Herder... i manuali di tortura… gladio… comunisti! ... Marshall scosceso… marescialli latinmeregani… i tricolori blu… i cisalpastri… il vento e la bandiera… miliardi di… i tricolori v€rdi… azzurri… Massaro! … il popolo… la posizione del missionario… la conversione capitalissima… un’emergenza ingiustificata… un tono alzato… un posto non proprio… la voce simulata… l’ordine… disciplina… un vaffanculo lungo quanto il mio cazzo…

giovedì 26 marzo 2009

CASSANO NON SARA’ UN FULL METAL JACKET, MA NEMMENO LIPPI E’ MARADONA

da libmagazine

Marcello Lippi ha un ché di militare. Eppure Marcello Lippi è senz’altro un allenatore vincente. Allora probabilmente il gene militare garantisce nelle discipline sportive una migliore attitudine alla vittoria, perché in fondo si tratta di regolamentare, indurre all’obbedienza, inquadrare in sistemi di norme comportamentali – benché sportive – un manipolo di giovanotti dagli ormoni friccicarelli. Nel film di Kubrick il sergente istruttore Hartman riduce la recluta ad una spugna spersonalizzata attraverso metodi che Lippi senz’altro non adopera ma dei quali riassume l’intenzione: l’uomo è tale solo se nella collettività riproduce quanto appreso. In sostanza non si tollerano levate di capo poiché il fronte, pena la morte, richiede uniformità d’altezza fra la siepe e l’elmetto. Ed un caduto è un varco nello schieramento tanto quanto lo è un semidio, un uomo levatosi oltre il limite.
Antonio Cassano quel limite non ha idea di cosa sia, perché se nasci scugnizzo nel sud del mondo sei condannato alla pallottola o alla tivvù di Berlusconi; ma se nasci scugnizzo e genio non c’è niente che ti fermi e puoi, ad esempio, prendere un attaccante sbiadito che risponde al nome di Pazzini e riportarlo a suon di assist in nazionale. Tutto questo Lippi lo sa fin dai tempi del Divin Codino di Baggio che bistrattò manco fosse un vietcong. D’altronde il solo genio che l’esercito contempli è quel reparto che posiziona o rimuove mine, costruisce o distrugge ponti. Gente cioè destinata alle strutture più che alle sovrastrutture. Cassano invece supera le coordinate fisiche in ogni passaggio, in ogni dribbling dal tempo rallentato e spiazzante: un cecchino piuttosto, che scivola fra le rovine con un mirino digitale e che invisibile fa sbocciare nelle teste avverse garofani di sangue. Un solitario o un solista? Un monologhista. E allora niente di strano o indecifrabile, perché i proiettili a doppia blindatura del film sono le stesse reclute che dall’addestramento escono con la professione del killer tatuata sull’elmo e impressa nel dito gelido sul grilletto. Un corpo compatto e solido che non arretra, che non teme, che ferito si rialza con intatta sete d’omicidio… come la nazionale che ha annientato la genialità di Zidane incassando in petto una testata scugnizza.
Vale, Cassano con nostro sommo dispiacere non giocherà mai nemmeno un minuto nell’Italia dell’istruttore Hartman perchè quando il generale torna vittorioso ha l’ultima parola su tutto. Basta solo che quella in Sudafrica sia l’ultima. Asì, vamos Argentina!

martedì 17 marzo 2009

pippo inzaghi indemoniato: chiamatemi esorciccio!

Lo intuisci subito, dall'orgasmo che gli piglia in tutte le membra quando segna, che per Inzaghi il gol ha la sapidità del latte materno. E ora son trecento da professionista. Roba da matti. O da indemoniati. Perché se è vero che il gesto del segnare - quell'introdurre, quel rapire, quel violare una membrana invisibile custodita da undici persone - ha stretta parentela con l'atto sessuale inteso dal macho; e se è vero che Pippo Inzaghi segna di opportunismo come quei rubacuori che nell'aria annusano la malleabilità della donna confusa, bisogna pur ammettere che essere lì nel centro nevralgico, presso l'area piccola, include virtù incorporee sulle quali c'è da indagare.
Superpippo nasce Pippo nelle giovanili del Piacenza e nel 1992, con la maglia del Leffe, segna il primo gol da professionista. Poi Verona e Piacenza ancora in serie B. Finalmente Parma in A, e subito l'anno dopo, stagione '96-'97, con la maglia dell'Atalanta diventa capocannoniere in serie A: super! Dopo arrivano gli anni alla Juve e al Milan carichi di gol in Italia e in Europa con l'aggiunta dei 25 gol in nazionale. Sta di fatto che Inzaghi è l'unico calciatore ad aver segnato in ogni competizione internazionale eccetto le coppe sudamericane. Rapinandolo li chiamano gol di rapina, ma sono algebrici frutti di un disegno preciso. Ecco com'è andata.
Filippo sarà stato appena adolescente quando di notte gli apparve un demone: non c'entra niente Marlowe né alcuna leggenda germanica, perché il calcio ha una mitologia vergine adatta ai ceti spiazzati. Filippo accettò le condizioni del patto: egli avrebbe rinunciato all'altezza di Marco Van Basten, al dribbling di Omar Sivori, alla tecnica di Johan Cruijff, alla potenza di Karl-Heinz Rummenigge, ed in cambio avrebbe segnato una valanga di gol. Sarebbe cioè stato brutto ma efficace, goffo ma indelebile, divino ma indemoniato. E lo vedi, gracile e inquieto, appeso al filo del fuorigioco mentre con le gambette macina chilometri facili per gli spiriti alleggeriti dalla possessione. E lo vedi sempre pronto a metterci il destro decisivo, la strusciata di spalla imparabile, il ginocchio imprevedibile... la natica, solenne e tremenda. E infine il gol. Oggi il trecentesimo e di certo non l'ultimo, segnati in buona parte contro squadre di un campionato che, la settimana appena trascorsa insegna, forse non sarà il più bello né il migliore, ma è di certo il peggior terreno su cui gli attaccanti possano provarsi data l'attenzione spasmodica alla fase difensiva che vi si pratica. E il paradosso è che forse quel patto non l'ha rispettato né Superpippo né il demone, perché il primo sarebbe cresciuto comunque troppo poco imponente per essere un centravanti di sfondamento e troppo frenetico per avere la giusta e misurata tecnica; e il secondo, il demone, spiace dirlo ma non esiste affatto. Oppure sì, ma è composto di passione e dedizione, di serietà agli allenamenti e disciplina alimentare, di gioia a vedere la palla che rotola, e di voglia e sete e fame di mandarla dove è proibito che vada. Tutto qua.

martedì 27 gennaio 2009

martedì 20 gennaio 2009

berlusconi attaccato dagli arabi li manda a ...

Da LibMagazine

Impossibilitato a sconfiggerne la formidabile flotta, Napoleone decise di attaccare l’Inghilterra sui suoi interessi economici varando, col decreto di Berlino (novembre 1806), il cosiddetto “Blocco Continentale”. Per stravaganti ricorsi storici, e con una punta di sbeffeggio, lo sceicco Mansour usa la storia contro l’emule del nano corso sferrando un attacco, a mezzo dell’offerta di acquisto per Kakà, agli interessi economici di Berlusconi. La serratura di questa criticabile chiave di lettura è nella contestazione dei tifosi milanisti che al Meazza, contro la Fiorentina, mostrano una evidente quanto pericolosa scollatura dai vertici societari del Milan colpevoli di essersi resi disponibili alla trattativa. La strategia araba è: se la base si stacca dal vertice prima o poi la piramide crolla – un po’ come crollò Napoleone quando gli mancò l’esaltazione delle truppe tradite dalle ambizioni personali. Dunque l’offerta dello sceicco è un attacco all’impero politico-economico di Berlusconi.
Questa più o meno sarebbe stata la linea del pezzo se a dirigere Libmagazine avessimo avuto un epigono di fede (o Fede?). Tuttavia ci si guardi dal facile sarcasmo, e si badi che l’opportunismo, anche politico, ha una innegabile valenza nella questione calcistica, non tanto considerando il gioco elettrico di Pippo Inzaghi, quanto la panchina cui lo stesso Inzaghi, Shevchenko, e il messia Ronaldinho sono stati accomodati contro la Fiorentina. È una questione politica. Come tutto del resto. Ovvero, ammessa l’evidente impossibilità razionale di rifiutare un’offerta di 115 milioni d’euro circa, cosa bisogna fare per incanalare nel senso giusto la trattativa ricordandosi però di trattenere quella base popolare che nella fattispecie ha la sciarpetta rossa e nera?
Il momento è delicato, poiché i due fini si contrastano. Allora si fa così (e prenda appunti il Bonaparte): per dimostrare che Kakà vale tutti i soldi offerti – in un momento in cui la portata dell’offerta stride con la realtà finanziaria globale e con, ammettiamolo, il valore reale del calciatore – si toglie Ronaldinho dal campo perché notoriamente questi intralcia il raggio d’azione di Kakà che trova i suoi pregi nella forza fisica, nella velocità, e nell’ampiezza di spazio che le due cose richiedono. Ok allora, lo sceicco se ha guardato Milan - Fiorentina può firmare la carta. Ma la base? Le brigate rossonere? Come garantirsi l’appoggio giacobino e impedire la destabilizzazione dell’armonia arcoriana, della “pax galliana”? Ecco il colpo di genio: Shevchenko e Inzaghi fuori, dentro fisso il giovin Pato. Il piccolo brasiliano, che segna già da qualche turno con continuità, dopo la bella doppietta di domenica scorsa contro la Roma ti piazza un diagonale vincente anche con la Fiorentina: palo-gol! Il pubblico inizia a barcollare. I media gonfiano Pato, il papero, che si fa quanto un Gastone. Il sito ufficiale del Milan titola “Indubbiamente Pato” ricordando ai tifosi l’altissima media gol del fanciullo. Se a ciò aggiungiamo il fumo negli occhi dello speziato Beckham i nodi sono già evidenti. Come una pesca di tonni c’è la rete, solo che a finirci dentro non sarà Kakà, ma i soldoni del Mansour che padron Silvio reimpiegherà per ricostruire tutta la squadra. Palo-gol, appunto. D’altra parte il “Blocco Continentale” danneggiò più il resto d’Europa che l’Inghilterra, e la levata di capo dello zar – che costò al corso l’invincibilità e un brutto inverno – è motivata proprio da quel blocco.
In conclusione, indipendentemente dall’esito della trattativa, né Kakà, né Berlusconi, né lo sceicco guaderanno la Beresina, e nessuno di loro vedrà l’Elba o Sant’Elena se non in vacanza. Il gioco politico non assicura mai certa vittoria, ma la virtù strategica è nel disporre le truppe in modo da garantirsi un’ampia scelta di reazioni che non siano categoricamente imposte dall’avversario.
Non so, ma qui ci starebbe il vecchio “e tutti vissero felici e contenti”.

mercoledì 17 dicembre 2008

cinemuna: "ultimatum alla terra"

Quando lo schermo è interamente occupato da un water incrostato di merda in un fast food di Toronto non c’è nulla che lasci presagire ciò che di lì a poco sta per accadere. Ma poi ecco che dal piscio ti spunta l’alieno. Il problema, che poi per la tenuta del film è il vero toccasana, è che l’alieno viene immediatamente riconosciuto come non – o poco, o scarsamente, o piuttosto malamente – umano. Questo permette al regista – l’anglobritannico Bobby Charlton, già autore della brillante farsa “Non fare come me: reimpiantati i capelli” – di alleviare la tensione propria del genere organizzando un andazzo simile a quello di una commedia degli equivoci nella quale l’alieno crede di essere un uomo mentre tutti gli uomini sanno che così non è. L’hanno già capito, punto e basta. Interessante la spiegazione che fornisce un giovane, e irriconoscibile, Topo Gigio, anch’esso alieno: “(…) il tuo programmatore ti ha inserito un software non aggiornato di estetica umanoide: tu sei esattamente delle dimensioni che erano proprie degli uomini dell’antica Roma; in altre parole sei un nano, e sono cacchi tuoi. Mo me ne vado, brutto figlio di puttana!”. Insomma, risate a crepapelle - anche grazie ad una graffiante colonna sonora (I want it all, The Queen). Finché però l’alieno non si mette in testa, con somma sorpresa di tutti, di poter distruggere il mondo a botta di scuregge inquinanti. La maggiorparte degli spettatori ritiene che l’alieno si sia messo questa assurdità in testa nell’impossibilità di combattere in altro modo un'odiosa calvizie. Alcuni critici, tra i quali l’illustre Ermigno Lodegli Inculati, interpretano questa violenta virata verso un ben noto filone eco-global-tragic che fa da contrappunto al bon vecio Al Gore spiegandola come l’ovvia esecuzione di un software inappropriato al tempo d’oggi. Ma altri clitici, fra cui me Muna, sottolineano l’inappropriatezza generica di tutto l’accadimento che trova conferma in quel finale ermetico che però chiude perfettamente un cerchio decadente: il cesso, da cui l’alieno era uscito, torna ad accoglierlo con la stessa capacità di prima, e se possibile con maggior fetore. Un lieto fine cioè, forse l’unico auspicabile.

giovedì 4 dicembre 2008

silenzio, parla pinocchio


Una zolla di conosciumi è. Reticoli che a ogni giunco rilasciano un grammo di schiuma. Quella sostanza appiccica ma, se ben trattata dall'alchimista degno, può trasformarsi in grano. Il consumismo non è un'aberrazione. Quanto non lo è quella vecchia forza all'erezione, cioè alla comodità. Tutto può essere manico o lama a seconda dell'ambizione del soggetto alla comodità. Però ora zitti. Facciamo parlare colui che dalla pancia in fondo al mare deve a forza conoscere dinamiche innovative e disconoscere i motivi per cui in superficie si vendono le favole.

giovedì 15 maggio 2008

la politica fuori dalla pelle

Da un punto d’osservazione superficiale – prospettiva, questa superficiale, ingiustamente vituperata giacché è dal bubbone sulla superficie/pelle del malato che il medico diagnostica la peste – la situazione politica italiana si colora di toni nuovi. L’amabilità di un azzurro tenue con la sua gradazione fredda copre il panorama come un cielo artificiale, acquieta gli animi, dispone al commercio e all’impresa. Tale la distensione del clima politico che, già incubata nella recente campagna elettorale, ora vede luce nel braccetto stretto fra Berlusconi e Veltroni – tutt’altra tavolozza cromatica in comparazione a quel rosso infernal pompeiano lavico che scorreva fra lo stesso Berlusconi e Romano Prodi fino a pochi mesi or sono.
Oggi il presidente del consiglio modera, apre al dialogo poggiando fiducia sull’assenza dal parlamento dei suoi maggiori nemici anti-patici; e poco distante il capo dell’opposizione zampetta zuccheroso in quell’usanza di marca anglosassone che è il governo ombra. Con conseguenze che, fossero studiate a tavolino, farebbero dei due protagonisti della scena il maggior statista degli ultimi cinquant’anni (checché ne dica il Fini ancor dopo Fiuggi). Letto bene: “conseguenze che farebbero dei due protagonisti della scena il maggior statista degli ultimi cinquant’anni”, due che fanno uno. Perché Berlusconi si assicura, in questo clima teatrato da cielo-trumanshow, un quinquennio di sereno poco variabile le cui uniche turbe saranno le poppate di liofilizzato con cui nutrire periodicamente i leghisti. D’altro canto – e canto, nella sua distrazione fonetico poetica, qui è un ridicolo lusso – il capo dell’opposizione Veltroni, che aveva dato principio al nuovo corso con la sventolante maturità del suo opporsi senza l’ausilio capriccioso della sinistra radicale, saprà far tesoro a quinquennio terminato del puntuale fenomeno dell’alternanza, trovandosi, ciliegina su torta, nella condizione di creditore di buona pace. Ovvio che il teorema regge solo se dall’altra parte v’è coscienza del debito. Ne dubito. Questo è un debito improvvido.
Ma la prospettiva superficiale, come abbiamo visto ottima a diagnosticare di che morte morirà il malato, ha il pregio di permettere un ulteriore decollo che altrimenti, giacendo in sottocute, non avrebbe capacità di volo. Si giunge dunque a tale altezza da leggere l’incanalamento del nostro sistema politico in un blando, ma produttivo (il commercio! l’impresa!), modello nordeuropeo quasi calvinista. E la possibilità di non marcire sottopelle negli umori corporei – equivoco che scaturisce dalla visione profonda – ci lascia integri di fronte all’assalto della prospettiva inciucio, che è esclusivamente prodotto biliare.
Da qui, belli in superficie, si legge pure che questo nuovo ordine – che è bene non dimenticare quanto possa essere scoria reattiva di moti d’antipolitica fluiti da “La casta” e grillismi vari – ha però un vincolo di fronte al quale la matura reazione della classe politica bisogna si dimostri quanto meno possibile millantata. Cioè, la riduzione dei gruppi parlamentari da 11 a 6, e la dipartita (v’è più fedeltà semantica, nell’uso del termine, che ironia o intenzione d’offendere) di quei soggetti politici che più di altri erano legati a superate categorie sociali e morali, obbliga il parlamento ad operare nel modo più sano, più limpido, più efficiente possibile. A maggior ragione in uso dell’acquietante cielo artificiale. È però a questo punto che la visione superficiale mostra il limite: nell’immagine del futuro, nella profezia. Che però, stando al discorso alla Camera in cui Berlusconi invoca l’ausilio divino, pare manchi clamorosamente anche al punto d’osservazione più profondo possibile: quello in cui si decide, in cui si agisce. Oh mio dio!

Da LibMagazine

Su Libmagazine anche in due si uccide meglio.