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A magna’ e beve… avevo appena messo lo zafferano nelle salsicce che friggevano sbriciolate. Da parte l’acqua bolliva e gli spaghetti ci ballavano dentro. Stappo il bianco, due dita a svaporare. Fra poco la panna quando bussano al citofono. Non è il momento, quello del magna’ e beve, di pigiare pulsanti altrui. In genere non rispondo né al telefono né al citofono, ma siccome non aspettavo nessuno ho dovuto farlo – non so se mi spiego. All’altro capo una voce educata ma accorata, con accento che dapprima mi è parso sforzato nella dizione,
toscaneggiante avrebbe detto mia nonna la sarta quando a inventare abiti si credeva emancipata. La voce mi chiedeva se avessi tempo, cinque minuti. A due minuti è scesa saputo della panna. Ho pensato ai testimoni di geova: orario, educazione e fastidio: tre indizi una prova. Sfioro il vaffanculo perché già la religione… poi farne un porta a porta già basta Lourdes da Vespa con regolarità da medicinale. Ma di colpo mi pare cosa poco nuova, il timbro, l’accento: forse veicolato da Vespa più che mendicante fede mi pare mendichi e basta: la voce di un venditore. Sto a sentire. La parlata dell’uomo al citofono è fatta di una bocca che si dilata poco, che prende gli spazi per articolare i suoni sgusciando lateralmente in basso, e palato e lingua sono a stretto contatto come legati da olii. Non capisco, non riconosco, ma quasi ce l’ho. Nel frattempo mi concentro sul contenuto del messaggio, dovessi trarne spie… Mi dice il tizio che è venuto a spiegarmi certe sue vicende processuali, roba di due cause su a Milano, due farse, dice, che bisogna andare avanti, spiegare in televisione e alla radio, che gli italiani sono con lui, e allora c’è da sbugiardare per mostrare la pasta… che ci si gasa… que viva l’Italia… con la pasta… col gas…
La pasta, il gas. Ci sono. Finalmente capisco: o è un venditore ambulante o lo schema della digestione.