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mercoledì 17 dicembre 2008

cinemuna: "operazione san gennaro"


Discover Ennio Morricone!

Quando il sangue di San Gennaro non si scioglie chi è che deve temere? Così, col funesto presagio del mancato miracolo, in una cripta in epoca imprecisata ma certo passata, si apre il film. La tradizione ha sempre voluto che a tremare fosse il popolino di Napoli, coloro ai quali sempre l’ano fu usurato. E invece no: man mano che la trama si sviluppa si comprende che il nuovo interlocutore del santo patrono è la classe dirigente napoletana. A voler dire che pure il santo ha bisogno dei suoi santi in paradiso: e quell’è santo, mica fesso?! Così a nulla vale il tentativo di frullare il sangue, né la granita all’amarena che un paio di assessori sono costretti a trangugiare per poi sputare – si sperava – sciolta. La sciagura piomba, solida come un tronco, nelle chiappe di personaggini allegri e disinvolti interpretati da grandi attori tutti passati per la gavetta: c’è il bel Giuseppe Gambale, cardiologo esperto di sangue e pompaggi, già ammirato in “Vacanza in commissione antimafia” e “Educazione, trasparenza, legalità… tutto bene ciò che riempie la bocca” (due vivaci commedie nere); c’è l’abile Enrico Cardillo che si era messo in luce con “Metalmeccanici polli miei”, docu-fiction sulla attitudine alla scalata di certi sindacalisti; c’è il compianto Giorgio Nugnes alla sua ultima apparizione sullo schermo; ci sono in più molti altri comprimari che col tempo impareremo ad apprezzare. Nello sconforto per non aver potuto apprezzare le performances di Antonio Bassolino e Rosa Russo Iervolino, dai quali ci aspettavamo molto ma molto di più, segnaliamo la recitazione, al solito sopra le righe, di un maturo ma ancora indomito Cirino Pomicino, e le partecipazioni di Italo Bocchino e Renzo Lusetti – quest’ultimo, insieme con il cameo di Salvatore Margiotta (tutt’ora impegnato nelle riprese del “Potenza è controllo” di Henry John Woodcock) – rappresentano motivo d’orgoglio per il produttore Walter Veltroni, colui, cioè, che ci mette la faccia.
Un film spettacolare e crudele, avvincente e soffice, ma anche duro, sanguinario (come non avrebbe potuto?). Uno spaccato storico e culturale da non perdere, ché in ogni caso s’è già perso.


giovedì 15 maggio 2008

la politica fuori dalla pelle

Da un punto d’osservazione superficiale – prospettiva, questa superficiale, ingiustamente vituperata giacché è dal bubbone sulla superficie/pelle del malato che il medico diagnostica la peste – la situazione politica italiana si colora di toni nuovi. L’amabilità di un azzurro tenue con la sua gradazione fredda copre il panorama come un cielo artificiale, acquieta gli animi, dispone al commercio e all’impresa. Tale la distensione del clima politico che, già incubata nella recente campagna elettorale, ora vede luce nel braccetto stretto fra Berlusconi e Veltroni – tutt’altra tavolozza cromatica in comparazione a quel rosso infernal pompeiano lavico che scorreva fra lo stesso Berlusconi e Romano Prodi fino a pochi mesi or sono.
Oggi il presidente del consiglio modera, apre al dialogo poggiando fiducia sull’assenza dal parlamento dei suoi maggiori nemici anti-patici; e poco distante il capo dell’opposizione zampetta zuccheroso in quell’usanza di marca anglosassone che è il governo ombra. Con conseguenze che, fossero studiate a tavolino, farebbero dei due protagonisti della scena il maggior statista degli ultimi cinquant’anni (checché ne dica il Fini ancor dopo Fiuggi). Letto bene: “conseguenze che farebbero dei due protagonisti della scena il maggior statista degli ultimi cinquant’anni”, due che fanno uno. Perché Berlusconi si assicura, in questo clima teatrato da cielo-trumanshow, un quinquennio di sereno poco variabile le cui uniche turbe saranno le poppate di liofilizzato con cui nutrire periodicamente i leghisti. D’altro canto – e canto, nella sua distrazione fonetico poetica, qui è un ridicolo lusso – il capo dell’opposizione Veltroni, che aveva dato principio al nuovo corso con la sventolante maturità del suo opporsi senza l’ausilio capriccioso della sinistra radicale, saprà far tesoro a quinquennio terminato del puntuale fenomeno dell’alternanza, trovandosi, ciliegina su torta, nella condizione di creditore di buona pace. Ovvio che il teorema regge solo se dall’altra parte v’è coscienza del debito. Ne dubito. Questo è un debito improvvido.
Ma la prospettiva superficiale, come abbiamo visto ottima a diagnosticare di che morte morirà il malato, ha il pregio di permettere un ulteriore decollo che altrimenti, giacendo in sottocute, non avrebbe capacità di volo. Si giunge dunque a tale altezza da leggere l’incanalamento del nostro sistema politico in un blando, ma produttivo (il commercio! l’impresa!), modello nordeuropeo quasi calvinista. E la possibilità di non marcire sottopelle negli umori corporei – equivoco che scaturisce dalla visione profonda – ci lascia integri di fronte all’assalto della prospettiva inciucio, che è esclusivamente prodotto biliare.
Da qui, belli in superficie, si legge pure che questo nuovo ordine – che è bene non dimenticare quanto possa essere scoria reattiva di moti d’antipolitica fluiti da “La casta” e grillismi vari – ha però un vincolo di fronte al quale la matura reazione della classe politica bisogna si dimostri quanto meno possibile millantata. Cioè, la riduzione dei gruppi parlamentari da 11 a 6, e la dipartita (v’è più fedeltà semantica, nell’uso del termine, che ironia o intenzione d’offendere) di quei soggetti politici che più di altri erano legati a superate categorie sociali e morali, obbliga il parlamento ad operare nel modo più sano, più limpido, più efficiente possibile. A maggior ragione in uso dell’acquietante cielo artificiale. È però a questo punto che la visione superficiale mostra il limite: nell’immagine del futuro, nella profezia. Che però, stando al discorso alla Camera in cui Berlusconi invoca l’ausilio divino, pare manchi clamorosamente anche al punto d’osservazione più profondo possibile: quello in cui si decide, in cui si agisce. Oh mio dio!

Da LibMagazine

Su Libmagazine anche in due si uccide meglio.

martedì 15 aprile 2008

FORTUNAE PLANGO VULNERA




o piuttosto rabbrividisco di piacere, ché al contrario di quanto in culla ateniese – e di lì a colla in culo a tutta la civiltà che là colse fiori – non è dato scollare aritmeticamente dal comico il tragico e versa-vice. A voce inversa, dunque, stabiliamo che l’idea è: quanto tragica sarà mai una grandinata calibro dodici a primavera? Caso vuole che la domanda s’autoeviri, poiché andrebbe anzitutto dimostrato, prima del quanto, se la grandinata sia tragica or not. Così, scalzati dalla formosa via della metafora, esplicitiamo che al Walter cinofilo non è bastata l’ultima carta, no; che Berlusconi non ha colpe ma solo meriti intuitivi; che l’elettorato è composto da gente; che la gente, la gran gente, fa l’Italia; che l’Italia, fatta da tal gran gente, è democraticamente fondata sul lavoro; che però ella vira dal sentimento democratico per una sua connaturata aspirazione alla metafisica, alla sovraordinazione. E la carne le sta stretta. Ella vuole lubrificare i condotti che portano alla genuflessione, in qualche maniera (to', maniera!) all’unzione e alla mistica. In tal modo, quanto polline in bocca a bave d’api, s’alza il fascino per la setta, per la congrega, per quel fluttuante cerimoniarsi del affondo una mano nel buio sperando di stringerne una più potente della mia si’ da carpirne energia, divinità. E poiché egli-l’unto è ai quattro venti un liberal, ne deriviamo che saprà governare per chi l’ha eletto sì, ma soprattutto per chi non l’ha eletto. È per questa ragione - ma più per sentimento - che, quasi a ricambiarsi in liberalità, il suddetto Berlusconi sarà spesso ospite di questi fogli telematici per i prossimi cinque anni – o per quanti i verdi carbonari armati vorranno concedere. Non è una dichiarazione di guerra. Piuttosto (rabbrividisco di piacere) una dichiarazione sessuale.


  • Dalla musica di sopra
    Piango le ferite di Fortuna con occhi colmi di lacrime: spietata mi sottrae i suoi doni. Vero è quel che si legge : porta i capelli in fronte, ma quasi sempre segue la calva Occasione. In alto io sedevo sul trono della Fortuna, cinto dai variopinti fiori del successo; ma se un tempo fiorivo prospero e felice, ora son caduto dalla cima privo di ogni gloria. Si volge la ruota di Fortuna : sempre più giù discendo; un altro sale in alto; esaltato oltre ogni misura sopra tutti un re siede sul trono - "stia attento alla caduta!"- sotto il mozzo della ruota leggiamo 'Ecuba regina'