A Toronto un complesso immobiliare denominato “l’Arca di Noè” è pubblicizzato come oasi e riparo dal caos cittadino e, dotato finanche di centro medico privato e d’ogni genere di comfort, assicura una vita realmente a misura d’uomo. L’umanità che vi alloggia è varia ma pacata, finché un misterioso omicidio-suicidio non giunge a rompere l’idillio. Si scoprirà la ragione di quella e di altre sanguinose vicende essere legata ad un’attività di ricerca medica volta a ovviare al trapianto degli organi mediante l’inserimento nel corpo umano di parassiti. Questa in sintesi la trama, che però appare del tutto marginale eccezion fatta per alcuni punti che suturano la narrazione e la sviluppano spiegandola.
L’ambiente asettico dell’arca di Noè – moderno e limpido, contrapposto al sistema-città che è vigorosamente, ma a voce bassa, criticato per le stressanti condizioni di vita – è di per sé portatore di tensione in virtù dello stato di anomala clausura in cui vivono gli abitanti, ai quali non si rende necessario uscire dal centro neanche per le consuete compere o per le visite mediche. È questo uno stato che bene interpreta l’agiatezza dei nostri tempi, è uno stato che svela quella dinamica lacerante e già invertita per la quale l’uomo in nome della comodità rinuncia di buon grado alla sua congenita propensione animale al deambulare. Si preparano le condizioni per un morbo più sottile. D’altronde questo segno Arca di Noè vuole un significato, per poi spiazzarlo: l’arca sopravvive ai flutti innaturali, ma lo scotto è l’esasperazione della reazione alla chiusura e alla solitudine.
C’è già il Cronenberg che sarà. Ancor più apprezzabile qui poiché i mezzi economici erano sensibilmente inferiori. C’è già l’indissolubile relazione fra l’elemento psichico e quello fisico, ove è il secondo a legiferare sul primo, con un gusto spietato e oltremodo sincero di indagare l’umanità attraverso il corpo e le sue mutazioni (o adattamenti). Non pare a tal riguardo casuale il dato che la componente che anticipa il futuro provenga, già in questo film, dalla medicina, né che tale futuro sia in realtà un non-futuro: nella ricerca per rimediare alla pratica del trapianto s’innesta l’originale e più essenziale deviazione umana: la chimera della sregolata soddisfazione carnale spinge un medico a stravolgere quella ricerca, e allora i parassiti risvegliano nei corpi che li ospitano i più sfrenati desideri sessuali, così eccessivi da ottundere la coscienza, così assoluti da trasformare gli esseri umani in puri impulsi erotici. È chiaramente una visione tragica del futuro, quella di Cronenberg. Ma c’è dell’altro. Più sotto. Più in alto. Al di là degli effetti strettamente scenici che hanno dato al regista fama im-mediata già da questo film, è già in questo film che la sua sensibilità fuori dal comune si manifesta prendendo rotte inattese. Non si tratta di un grossolano tendere allo splatter né nell’agitarsi fallico dei parassiti né nelle sequenze di affioramenti e gonfiori vari dagli stomaci dei personaggi. È piuttosto altro che arriva allo spettatore. Come la coda di una paura, di una minaccia. L’orrore, un percepibile orrore per il contatto fisico, prende a imperare sulla scena bandendo e allo stesso tempo innescando, per contrasto, quella purificante frenesia carnale che è destinata, nella logica dell’annientamento, a invertirsi. Il sesso è umano più ed oltre la ragione, ma è nell’annullamento della ragione che si nutre la fine. Pensiamoci un attimo: siamo a metà degli anni Settanta, la stagione dell’amore libero è passata ma palpabile, è già il regno dell’eroina, della siringa; di lì a poco piomberà a otturare le carni la sindrome da immunodeficienza acquisita, l’AIDS, i cui primi casi risalirebbero al 1959 (Congo), al 1969 (Saint Louis, USA) e al 1976 (Norvegia), ma è solo nel 1981 che a Los Angeles sarà ufficialmente identificata l’epidemia. Da allora l’esperienza sessuale ha assunto una sgradevole patina orrorifica che ha convertito le antiche inibizioni morali in più nuove e sempiterne remore. Una sorta di scontro finale fra la sessualità intesa come strumento che garantisca vita eterna – filiazione, continuazione della specie – e la sessualità intesa come fucina di malattia, di consumazione, di morte.
Cronenberg ha dunque avuto il merito puramente intuitivo di rappresentare la malattia erotica come seme di distruzione dell’uomo, e lo ha fatto con la solenne drammaticità che il tema richiede. Lo ha fatto ricevendo l’insegnamento, certo, dei morti viventi di Romero (1968), ma spalancando a sua volta le porte per un’altra epocale storia di parassiti: Alien (1979). Con una differenza sostanziale che fa del suo lavoro un prezioso punto di partenza: l’incomparabile genuinità espressiva di fronte ad una storia dai risvolti così fondanti. Allora si evidenziano un pre-finale sconvolgente in cui la collettività è inebriata dalla sete di liquori corporei, e il finale vero e proprio che stacca dal resto del film con fine ironia e preannuncia, insieme con quella del film, la fine della civiltà.
Un’ultima nota, amara. Non è scritto in nessun manuale storico, in nessun codice genetico, che all’avanzare dei tempi corrisponda un proporzionato processo etico o intellettivo dell’essere umano: nel film sono presenti avvenimenti – si noti: non più violenti di quelli dei film d’oggi – che non sarebbero rappresentabili in questa epoca a soli trent’anni di distanza da Shivers. Rimandi tragici che oggi – aumentati o rinvigoritisi certi vecchi tabù – sarebbero nel loro lambire pedofilia e incesto facile miccia di scandalo, ma che tagliati amputerebbero drammaticamente le ramificazioni semantiche del film. In sostanza, l’autenticità di Cronenberg suggerisce che il male per essere denunciato ha bisogno di venir esplicitato senza indugio; mentre oggi un insano bigottismo richiede che esso venga fugato alla cieca: equivale a chiedere a un bambino di evitare l’uomo nero, cioè un qualcosa che non avendo caratteri visibili pisola nocivamente fra realtà e leggenda. Confusione, moralmente e politicamente corretta, ma controproducente confusione.
Dal Rapporto Confidenziale di febbraio
4 commenti:
very good!
clap clap clap!
smak!
ot- anche tu ora dovrai modificare il mio link.http://sonogians.blogspot.com/
è tempo di cambiamenti, notte ciro bello. :)
non lo sò... ma mi piaceva più l'altro... troppo nero!!! Vabbhé... ;o)
ABLAR, smack clap cip&gulp
GIANS, sarà immediatamente fatto
RAISSA, ma anche tanto rosa :D
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