Da un punto d’osservazione superficiale – prospettiva, questa superficiale, ingiustamente vituperata giacché è dal bubbone sulla superficie/pelle del malato che il medico diagnostica la peste – la situazione politica italiana si colora di toni nuovi. L’amabilità di un azzurro tenue con la sua gradazione fredda copre il panorama come un cielo artificiale, acquieta gli animi, dispone al commercio e all’impresa. Tale la distensione del clima politico che, già incubata nella recente campagna elettorale, ora vede luce nel braccetto stretto fra Berlusconi e Veltroni – tutt’altra tavolozza cromatica in comparazione a quel rosso infernal pompeiano lavico che scorreva fra lo stesso Berlusconi e Romano Prodi fino a pochi mesi or sono.
Oggi il presidente del consiglio modera, apre al dialogo poggiando fiducia sull’assenza dal parlamento dei suoi maggiori nemici anti-patici; e poco distante il capo dell’opposizione zampetta zuccheroso in quell’usanza di marca anglosassone che è il governo ombra. Con conseguenze che, fossero studiate a tavolino, farebbero dei due protagonisti della scena il maggior statista degli ultimi cinquant’anni (checché ne dica il Fini ancor dopo Fiuggi). Letto bene: “conseguenze che farebbero dei due protagonisti della scena il maggior statista degli ultimi cinquant’anni”, due che fanno uno. Perché Berlusconi si assicura, in questo clima teatrato da cielo-trumanshow, un quinquennio di sereno poco variabile le cui uniche turbe saranno le poppate di liofilizzato con cui nutrire periodicamente i leghisti. D’altro canto – e canto, nella sua distrazione fonetico poetica, qui è un ridicolo lusso – il capo dell’opposizione Veltroni, che aveva dato principio al nuovo corso con la sventolante maturità del suo opporsi senza l’ausilio capriccioso della sinistra radicale, saprà far tesoro a quinquennio terminato del puntuale fenomeno dell’alternanza, trovandosi, ciliegina su torta, nella condizione di creditore di buona pace. Ovvio che il teorema regge solo se dall’altra parte v’è coscienza del debito. Ne dubito. Questo è un debito improvvido.
Ma la prospettiva superficiale, come abbiamo visto ottima a diagnosticare di che morte morirà il malato, ha il pregio di permettere un ulteriore decollo che altrimenti, giacendo in sottocute, non avrebbe capacità di volo. Si giunge dunque a tale altezza da leggere l’incanalamento del nostro sistema politico in un blando, ma produttivo (il commercio! l’impresa!), modello nordeuropeo quasi calvinista. E la possibilità di non marcire sottopelle negli umori corporei – equivoco che scaturisce dalla visione profonda – ci lascia integri di fronte all’assalto della prospettiva inciucio, che è esclusivamente prodotto biliare.
Da qui, belli in superficie, si legge pure che questo nuovo ordine – che è bene non dimenticare quanto possa essere scoria reattiva di moti d’antipolitica fluiti da “La casta” e grillismi vari – ha però un vincolo di fronte al quale la matura reazione della classe politica bisogna si dimostri quanto meno possibile millantata. Cioè, la riduzione dei gruppi parlamentari da 11 a 6, e la dipartita (v’è più fedeltà semantica, nell’uso del termine, che ironia o intenzione d’offendere) di quei soggetti politici che più di altri erano legati a superate categorie sociali e morali, obbliga il parlamento ad operare nel modo più sano, più limpido, più efficiente possibile. A maggior ragione in uso dell’acquietante cielo artificiale. È però a questo punto che la visione superficiale mostra il limite: nell’immagine del futuro, nella profezia. Che però, stando al discorso alla Camera in cui Berlusconi invoca l’ausilio divino, pare manchi clamorosamente anche al punto d’osservazione più profondo possibile: quello in cui si decide, in cui si agisce. Oh mio dio!
Su Libmagazine anche in due si uccide meglio.
3 commenti:
il presidente del consiglio modera, apre al dialogo? meglio astenersi...perché sono qua, allora? per salutarti, ovvio...
ciao esco :)
del resto, come farebbe a farne altri sette da Presidente della Repubblica ?
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