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venerdì 11 aprile 2008

mettersi in gioco, giocare come alla messa quando avevi anni tot e le ragazzine altrettot e gli sguardi calavano barbari nelle camicette

è un gioco del soppy raccoon

Manderei a casa molto volentieri – sicchè tanta volontà leva condizionabilità al tempo e passo al – mando a casa molto volentieri ogni forma di leghistico scampanilìo, del tipo imbracciar fucili – contrastabili/decorabili assai saggia mente come tu coon dici a furiosi dildo. Imbracciar fucili, che poi si inspallano i suddetti se proprio li si vuole funzionanti… lega nord a casa dunque per questa superficialità di cognizione motoria-sparatoria; la lega di sotto tambièn a casa per l’ovvio anascrostismo dei mai carchi fucili siciliani che, più tosto ove non più duro, mai furono debracciati/despallati (!). Il mio voto andrà a Sir Wolter, perché è ora, perché è stagione, perché detesto l’alternanza, i ciondoli, le amache, gli orologi cucù, le altalene vuote mosse dal vento, e il vento invisibile che porta odore di fogna d’Arcore.
Vale.

Ehi, su libmagazine parlo di Kundun, un raro e prezioso Scorsese semi-d'annata

giovedì 20 marzo 2008

mmmhhhh

Dunque vado anch’io. Pare in cerca di una caverna, di quella mia. Anche se alla voglia di apostrofare gli spazi bui s’accompagna una sorta di timore della sottrazione. È che non sai mai, ogni volta, quanto ci resti al buio. Capita che nella caverna si smarriscano le scie, e la condizione d’ombra, il cono di umidità che stordisce le narici, arpiona la realtà e la deturpa con miracolosa efficacia. In fondo a scuoiarsi ci perdi sangue e coltello. E anche quando te ne fai bevute, non sai mai se il fondo del contenitore corrisponde al tuo fondo. Smascellare nella caverna è una sfida che presuppone un volume adatto, contingenza, sporgenza di istinti e necessità ove formicolano sicurezze da frangere. È, in qualche modo, violenza. Autoviolenza.
Intanto è stata serata scugnizza, què loco!

A Libmagazine siamo tutti tibetani.