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martedì 22 aprile 2008

io ci spargo il seme


L’amore oltre-calcistico che si prova per i tangheri argentini, senza risalire risolini fino a Omar e Diego santi mistico-anarchici, è l’unico frangente in cui l’essere-cafone diventa un valore estetico. E gli argentini, non tutti ma alcuni, proteggono quella scugnizzeria che ai tangheri napoletani si smussa all’incontro con le serie minori interregionali, laddove son legnate da boscaioli. Insomma Lavezzi perde palla perché un tristo difensore gli entra duro in fallo non diagnosticato, ma per via della metafisica della fascia laterale la palla gli ri-rotola al piede. Lui, scugnizza mente, decide che è l’ora della strada (ovvero è: «e miez ‘a via»). Guarda il tristo falcone di difesa di sopra, lo punta, poggia suola destra sulla palla e simula spostamenti a la derecha y a la izquierda, pues tzunami parte a destra, resiste alla trattenuta – «‘n miez ‘a via» l’arbitro, si sappia, non ha ragion d’essere. Ne salta un due trè che cercano chi coi tacchi chi coi pugnali di arrestarne il trottolare. Il quarto no che non ci sta: lo randella: lo alza da terra che mentre tocca terra gli altri già gli passano sopra. È la rissa, il Napoli lì vince la partita. Come quando ti capita il cafone per strada, il pessimo, la cui scala di virtù si misura in base alle conoscenze, al «a chi appartien’?»: Lavezzi e gli altri tangheri dimostrano di appartenere al sommo arnese del ballo, al piolo, al parquet, al palo, alla palla, e quanto più le appartengono tanto più ella sferica appartiene a loro. C’è conoscenza, biblica conoscenza, e la sodomia cui è soggetto il difensore ad opera dello scugnizzo è solo un perbene tentativo di divulgazione scientifica. La scienza non è un personalino, non resiste nell’individuo, non può, non sa. Essi così ricercano, sono scienziati che fanno atomica solo se c’è guerra e non per pecunia ma per un acerbo – e magari, chissà, anche mortuario – senso d’onore. Mi spiace per Totti – e mi spiace per Totti – ma lui no, lui è ortodosso, vive del riflesso del passato quanto un anfiteatro mezzo sgarrupato, e i piccioni meglio d’ogni altro vivente ne ammirano la postura, così imborghesita, così cristiana, così cristiana. L’unico italiano oggi, l’unico che gioca… Cassano.

[Poi ci sono gli Europei st’estate. Ai quali Cassano senz’altro non parteciperà. Perché l’Europa e le radici cristiane… perché l’umiltà e il socialismo delle coscienze, perché i pudori e le purghe, e le aspirine e i sudori, e le mignotte e le compagnie telefoniche, e gli spinelli di tabacco e quelli di canapa e quelli di omenti addominali, e i sigari che in campo non si fuma, non si fuma, solo se si suda… d’inverno… casomai, e l’impennata dei chewin’gum dal dì dei divieti, e i vapori e le croci appese e quelle rosse stese e tutti i divieti compresi quelli di morte (“divieto di morte!”), e le pippate nei bagni con i pomelli d’oro, e le pure urine pure dei figli dei dopati, e le anche e le panche, e andatevene a succhiare i midolli dei morti prima che si secchino ché le litanie mi fanno da doccia quando mi masturbo]

giovedì 20 marzo 2008

mmmhhhh

Dunque vado anch’io. Pare in cerca di una caverna, di quella mia. Anche se alla voglia di apostrofare gli spazi bui s’accompagna una sorta di timore della sottrazione. È che non sai mai, ogni volta, quanto ci resti al buio. Capita che nella caverna si smarriscano le scie, e la condizione d’ombra, il cono di umidità che stordisce le narici, arpiona la realtà e la deturpa con miracolosa efficacia. In fondo a scuoiarsi ci perdi sangue e coltello. E anche quando te ne fai bevute, non sai mai se il fondo del contenitore corrisponde al tuo fondo. Smascellare nella caverna è una sfida che presuppone un volume adatto, contingenza, sporgenza di istinti e necessità ove formicolano sicurezze da frangere. È, in qualche modo, violenza. Autoviolenza.
Intanto è stata serata scugnizza, què loco!

A Libmagazine siamo tutti tibetani.