Considerando il calcio in senso assoluto, ovvero come esperienza che trova nelle righe di gesso del prato i suoi ben netti confini, non si può negare quanto fedele esso sia in una certa rappresentazione universale degli umani vizi e delle umane virtù. Dunque appare evidente che, proprio come in ogni arte o tecnica, la finezza dell’atto debba essere la sola discriminante del buon esito del gesto nella sua totalità. Questo per dire che “giocare bene a pallone”, in uno sport che prevede che tal pallone venga passato di piede in piede, è proprio più del collettivo ben omogeneo che del narciso votato all’eterogeneo. Tuttavia, e parliamo dell’Olanda, la prestanza definitiva del collettivo non può che fondarsi sulla concentrazione, sul dinamismo atletico, e sulla fine tecnica del singolo. A ciò non si dimentichi di aggiungere quella funesta e suprema verità – l’unica – il caso, di fronte al quale i più codardi tra i furbi trovarono opportuno inventare gli dei. Giustamente, e divinamente, allora l’Olanda schiaffeggia dopo l’Italia anche la Francia: giustamente perché Van Basten schiera un centrocampo tecnicamente ineffabile e al contempo arcigno in fase difensiva; divinamente perché il caso mette i giusti giri – i giusti, i compatibili giri – nel pallone e nei piedi arancioni, così tiri imprendibili, così soluzioni imprevedibili tutte a buon fine. Mentre in un altro campo l’Italia, pur pungolata dalla sua storica e affezionata acqua alla gola, pareggia giustamente perché Donadoni si ostina a inserire tardi l’unico lampo irregolare che ha, Cassano; e divinamente perché i regolari tiri dei suoi trovano le regolari risposte dei portieri avversari.
Ma il calcio non va considerato in senso assoluto. La sua natura di sport di massa lo forza a dotarsi di un vero e proprio sistema politico che tenga a freno le intemperanze umorali della massa attraverso organismi sopranazionali, e che permetta una vendita del prodotto alla stessa massa nel miglior modo possibile – alludiamo chiaramente a criteri di capitale. Un collegio evidentemente kafkiano ha deciso che le teste di serie degli europei fossero Austria e Svizzera in quanto paesi organizzatori, Grecia in quanto campione uscente, e Olanda in quanto dotata del miglior coefficiente-punti nelle due ultime serie di qualificazioni a mondiali ed europei. Non aver valutato la scarsezza delle nazionali austriache, greche e svizzere, né la tradizionale forza di nazionali come Germania, Portogallo, Spagna, Italia e Francia – le ultime addirittura finaliste nell’ultimo mondiale – ha contribuito a formare raggruppamenti mai così disparati. Si va dal ridicolo girone della Germania (con Austria, Croazia e Polonia) e dallo scialbo girone della Spagna (con Svezia, Grecia e Russia) al cosiddetto girone di ferro dell’Italia (con Francia, Olanda e Romania). Conseguenza di questi improvvidi errori di valutazione sarà la prematura eliminazione di discrete squadre di calcio in clamoroso controsenso rispetto alla finalità dello sport-spettacolo, che è quella di premiare i migliori perché i migliori fanno più audience.
Eppure, paradossalmente, e in una prospettiva d’osservazione piramidale, siamo ancora nel rettangolo verde. Il problema sorge quando ciò che non appartiene al calcio interviene a determinarne lo svolgimento. L’arbitro ha una funzione di trasparenza: egli non esiste, non rappresenta, non è sulla scena. L’arbitro è l’estensione trasparente del regolamento di gioco, in un certo modo la sua mano, ed ogni sua attività è tollerata per l’esclusivo suo compito di garantire il rispetto delle regole nel limite dell’umana possibilità di corretta o scorretta interpretazione, di corretta o scorretta visione di quanto accade. Una macchina insomma. Una telecamera che manda immagini al luogo in cui giacciono le norme – il cervello, ma la regia – in modo che lì si valuti l’aderenza o meno al regolamento. A quanto pare la telecamera saprebbe far lo stesso. Ma di più, la telecamera saprebbe garantire una quasi totale infallibilità nella valutazione, perché non esiste alcun paragone solido fra l’oggettività dell’uomo e quella dell’oggetto. La moviola è il passo offerto dalla tecnica verso la verità del gesto sportivo, tanto nel godimento per la bella giocata, quanto nella diagnosi giusta di un episodio guasto. Lungi dal basso positivismo, si potrebbe definire la tecnica uno strumento di liberazione da tutti i tipi di nebbie. In particolare la tecnica ad uso della massa, che si sa quanto vada ghiotta di nebbia. Ma c’è un particolare – che c’è sempre stato – : la liberazione presuppone uno stato di schiavitù, che a sua volta presuppone uno stato di padronanza altrui. Nell’errore umano, e nella buona fede dei misericordiosi, si annidano i meccanismi che rafforzano lo stato di padronanza. L’errore umano, o quello che tale si definisce, è la forbice d’ombra nella quale potenzialmente agisce, non visto, chi ha potere per agire.
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lunedì 16 giugno 2008
Europei, regolari irregolarità
Da LibMagazine
martedì 22 aprile 2008
io ci spargo il seme
L’amore oltre-calcistico che si prova per i tangheri argentini, senza risalire risolini fino a Omar
e Diego santi mistico-anarchici, è l’unico frangente in cui l’essere-cafone diventa un valore estetico. E gli argentini, non tutti ma alcuni, proteggono quella scugnizzeria che ai tangheri napoletani si smussa all’incontro con le serie minori interregionali, laddove son legnate da boscaioli. Insomma Lavezzi perde palla perché un tristo difensore gli entra duro in fallo non diagnosticato, ma per via della metafisica della fascia laterale la palla gli ri-rotola al piede. Lui, scugnizza mente, decide che è l’ora della strada (ovvero è: «e miez ‘a via»). Guarda il tristo falcone di difesa di sopra, lo punta, poggia suola destra sulla palla e simula spostamenti a la derecha y a
la izquierda, pues tzunami parte a destra, resiste alla trattenuta – «‘n miez ‘a via» l’arbitro, si sappia, non ha ragion d’essere. Ne salta un due trè che cercano chi coi tacchi chi coi pugnali di arrestarne il trottolare. Il quarto no che non ci sta: lo randella: lo alza da terra che mentre tocca terra gli altri già gli passano sopra. È la rissa, il Napoli lì vince la partita. Come quando ti capita il cafone per strada, il pessimo, la cui scala di virtù si misura in base alle conoscenze, al «a chi appartien’?»: Lavezzi e gli altri tangheri dimostrano di appartenere al sommo arnese del ballo, al piolo, al parquet, al palo,
alla palla, e quanto più le appartengono tanto più ella sferica appartiene a loro. C’è conoscenza, biblica conoscenza, e la sodomia cui è soggetto il difensore ad opera dello scugnizzo è solo un perbene tentativo di divulgazione scientifica. La scienza non è un personalino, non resiste nell’individuo, non può, non sa. Essi così ricercano, sono scienziati che fanno atomica solo se c’è guerra e non per pecunia ma per un acerbo – e magari, chissà, anche mortuario – senso d’onore. Mi spiace per Totti – e mi spiace per Totti – ma lui no, lui è ortodosso, vive del riflesso del passato quanto un anfiteatro mezzo sgarrupato, e i piccioni meglio d’ogni altro vivente ne ammirano la postura, così imborghesita, così cristiana, così cristiana. L’unico italiano oggi, l’unico che gioca… Cassano.
[Poi ci sono gli Europei st’estate. Ai quali Cassano senz’altro non parteciperà. Perché l’Europa e le radici cristiane… perché l’umiltà e il socialismo delle coscienze, perché i pudori e le purghe, e le aspirine e i sudori, e le mignotte e le compagnie telefoniche, e gli spinelli di tabacco e quelli di canapa e quelli di omenti addominali, e i sigari che in campo non si fuma, non si fuma, solo se si suda… d’inverno… casomai, e l’impennata dei chewin’gum dal dì dei divieti, e i vapori e le croci appese e quelle rosse stese e tutti i divieti compresi quelli di morte (“divieto di morte!”), e le pippate nei bagni con i pomelli d’oro, e le pure urine pure dei figli dei dopati, e le anche e le panche, e andatevene a succhiare i midolli dei morti prima che si secchino ché le litanie mi fanno da doccia quando mi masturbo]



[Poi ci sono gli Europei st’estate. Ai quali Cassano senz’altro non parteciperà. Perché l’Europa e le radici cristiane… perché l’umiltà e il socialismo delle coscienze, perché i pudori e le purghe, e le aspirine e i sudori, e le mignotte e le compagnie telefoniche, e gli spinelli di tabacco e quelli di canapa e quelli di omenti addominali, e i sigari che in campo non si fuma, non si fuma, solo se si suda… d’inverno… casomai, e l’impennata dei chewin’gum dal dì dei divieti, e i vapori e le croci appese e quelle rosse stese e tutti i divieti compresi quelli di morte (“divieto di morte!”), e le pippate nei bagni con i pomelli d’oro, e le pure urine pure dei figli dei dopati, e le anche e le panche, e andatevene a succhiare i midolli dei morti prima che si secchino ché le litanie mi fanno da doccia quando mi masturbo]
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