La primavera in questa fase incattivisce. I friccicori, ancora acerbi, virano sull’asprezza come frutti nervosi. O viceversa. Capita perché la mente non regge il passo dell’adattarsi del corpo ai nuovi tempi, ai nuovi pollini, ai nuovi tracciati della stella. E poi trionfano le mosche, lasciano le loro scheletriche ombre le zanzare, e le api tornano a far edilizie dei pergolati e delle tegole sopra i citofoni – che va bene: meno scocciatori. La mente no, è un essere conservatore, e innalza trincee di fronte agli esuberanti abbandoni cui cede il corpo, perché li ritiene minacciosi, demolitori di equilibri, consumanti. Sarà stato in preda a questa non spicciola dicotomia che quelli di Matrix (programma che rapisce il titolo di un decente film, e che lasciava supporre altro corso – altro, altro à la Matrix film – rispetto a come poi s’è rivelato) hanno organizzato stasera una buona puntata. Non che abbiano brillato di luce propria, s’intende, ma è bastato farmi sbirciare due film che attendo da più di un anno per convincermi della bontà: Gomorra di Matteo Garrone (il dialetto, nel trailer si badi al dialetto), e Il Divo di Paolo Sorrentino (la musica, il movimento, l'epos, si badi a questo). Due perle italiane. Due rarissime perle talmente diverse da farmi pronosticare una gran mezza primavera. Il primo atrocemente appiccicato alla realtà, alle imperfezioni del volti, ai punti neri e alle rughe; il secondo così disarmato di fronte alla forza del deragliamento, all’ironia nera, all’immagine che scortica l’occhio. Il primo a scavare le falde rosse di questa terra; il secondo a dare forma alternativa e veritiera – la forma alternativa della sostanza mimetica è sempre più veritiera – a quel pilastro mimetico – chissà quanto imbottito – della nostra repubblica che è Andreotti. Due perle. Due prove irripetibili che diranno se. Che diranno se Sorrentino e Garrone, certosini e pazienti e intransigenti, hanno modificato il grande pubblico perché questo si accorga del loro genio. E noialtri, dalle colonne di Libmagazine, saremo lì a testimoniare – a sproposito, si veda questa pubblicità casual. Per farla breve, s’è visto il metodo di Garrone, con l’immagine madre fetente che rinnega il partorito, e subito scosta, e s’è visto l’incipit rallentato da western burocratico di Sorrentino. Poi s’è visto Servillo, presente in entrambi i lavori, che da migliore è due entità distinte. Se ci fosse stato un terzo film sarebbe stato trino.
vignetta da LibMagazine
8 commenti:
anch'io testimonierò dalla mia colonna e dico lo giuro!
t'ho giuro, non ho mandato io il topo morto
sono due perle davvero, ma io ho propensione per il secondo...servillo e sorrentino sono un'accoppiata vincente; c'aggia fa', adoro la famiglia servillo...
va bene il qestern burocratico, ma non vorrei se ne consolidasse il ricordo (ho visto colpe gravi licenziate da crepe nel cuore)
escopocodiera, anch'io ho più debole per sorrentino, ma garrone con l'imbalsamatore ha saputo stupirmi, e io m'innamoro di chi sa stupirmi
1ps, credo e spero che il taglio sia bello cattivo, altrimenti andreotti a oggi non negherebbe di aver incontrato sorrentino all'inizio delle riprese
non so mi puzza il buon cuore sulla mafia, il rischio di fare bei film oggigiorno è che diventino storia
forse le uniche due uscite degne di nota, in estate davvero povera, la cosa mi preoccupa, io di cinema ci campo. :)
che ti devo dire come sempre ti do fiducia, poi con quella t-shirt (maglietta e jamme)
ps.tra_la_o_e_la_q ha lasciato un messaggio da me, tu ciro che conosci
le parole se vuoi..
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