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Come volete. Forse Jim Morrison non è la voce più struggente degli ultimi 150 anni. Nemmeno la più lirica. Forse i suoi testi, musicati e non, manco si avvicinano ad essere i migliori degli ultimi 150 anni. E la sua morte? Anche su quello c’è gente che, sempre negli ultimi 150 anni, ha saputo fare di meglio. Ma tutti questi primati solo sfiorati, se congiunti creano, non fosse altro che per l’impegno speso, i crismi dell’icona. La foto, la riproducibilità dell’immagine, e quel particolare broncio da condannato, fermano la storia perché la si ammiri fantasticando. Ora, la forza dell’icona è la sua capacità di ossessionare in virtù di quell’attimo esteso nell’immaginazione. E torna l’icona, il viso, la faccia. Torna più di sempre. Resta sospesa fra i nessi elettrici del cervello. E si rielabora, si trasforma. A volte si trasfigura. Quando soffriamo piglia le sembianze degli incubi inconfessati. Infine sopravvive alla morte. Ah la morte, bella a volte quando arriva!