martedì 27 gennaio 2009
lunedì 26 gennaio 2009
giovedì 22 gennaio 2009
cinemuna: il vero nell'assurdo - su rapporto confidenziale
martedì 20 gennaio 2009
berlusconi attaccato dagli arabi li manda a ...
Questa più o meno sarebbe stata la linea del pezzo se a dirigere Libmagazine avessimo avuto un epigono di fede (o Fede?). Tuttavia ci si guardi dal facile sarcasmo, e si badi che l’opportunismo, anche politico, ha una innegabile valenza nella questione calcistica, non tanto considerando il gioco elettrico di Pippo Inzaghi, quanto la panchina cui lo stesso Inzaghi, Shevchenko, e il messia Ronaldinho sono stati accomodati contro la Fiorentina. È una questione politica. Come tutto del resto. Ovvero, ammessa l’evidente impossibilità razionale di rifiutare un’offerta di 115 milioni d’euro circa, cosa bisogna fare per incanalare nel senso giusto la trattativa ricordandosi però di trattenere quella base popolare che nella fattispecie ha la sciarpetta rossa e nera?
Il momento è delicato, poiché i due fini si contrastano. Allora si fa così (e prenda appunti il Bonaparte): per dimostrare che Kakà vale tutti i soldi offerti – in un momento in cui la portata dell’offerta stride con la realtà finanziaria globale e con, ammettiamolo, il valore reale del calciatore – si toglie Ronaldinho dal campo perché notoriamente questi intralcia il raggio d’azione di Kakà che trova i suoi pregi nella forza fisica, nella velocità, e nell’ampiezza di spazio che le due cose richiedono. Ok allora, lo sceicco se ha guardato Milan - Fiorentina può firmare la carta. Ma la base? Le brigate rossonere? Come garantirsi l’appoggio giacobino e impedire la destabilizzazione dell’armonia arcoriana, della “pax galliana”? Ecco il colpo di genio: Shevchenko e Inzaghi fuori, dentro fisso il giovin Pato. Il piccolo brasiliano, che segna già da qualche turno con continuità, dopo la bella doppietta di domenica scorsa contro la Roma ti piazza un diagonale vincente anche con la Fiorentina: palo-gol! Il pubblico inizia a barcollare. I media gonfiano Pato, il papero, che si fa quanto un Gastone. Il sito ufficiale del Milan titola “Indubbiamente Pato” ricordando ai tifosi l’altissima media gol del fanciullo. Se a ciò aggiungiamo il fumo negli occhi dello speziato Beckham i nodi sono già evidenti. Come una pesca di tonni c’è la rete, solo che a finirci dentro non sarà Kakà, ma i soldoni del Mansour che padron Silvio reimpiegherà per ricostruire tutta la squadra. Palo-gol, appunto. D’altra parte il “Blocco Continentale” danneggiò più il resto d’Europa che l’Inghilterra, e la levata di capo dello zar – che costò al corso l’invincibilità e un brutto inverno – è motivata proprio da quel blocco.
In conclusione, indipendentemente dall’esito della trattativa, né Kakà, né Berlusconi, né lo sceicco guaderanno la Beresina, e nessuno di loro vedrà l’Elba o Sant’Elena se non in vacanza. Il gioco politico non assicura mai certa vittoria, ma la virtù strategica è nel disporre le truppe in modo da garantirsi un’ampia scelta di reazioni che non siano categoricamente imposte dall’avversario.
Non so, ma qui ci starebbe il vecchio “e tutti vissero felici e contenti”.
domenica 18 gennaio 2009
happy bifdei mr president andriotto
sabato 17 gennaio 2009
venerdì 16 gennaio 2009
giovedì 15 gennaio 2009
trashin' tits
Ah spazzatura. Ah, donne. Questa Cristina Dal Basso, tettona professionista, si becca attacchi da ogni lato per frivolezza. Non si tollera affatto che mostri le sise, così gonfie, così assolute, così artefatte. Le zompa addosso anche la Alessandra Mussolini d’illustri natali, dimentica dei suoi antichi topless tanto quanto degli ammiccamenti della zia Sofia Loren che impastava sbattendo i seni contro la scollatura – dalla tetta alla notte degli oscar. Ebbene, non ci meraviglino le meraviglie. Il tipo pin-up è facile da caricaturare ma difficile da incarnare. Però se dopo sua maestà Monroe siamo stati capaci, qui italici, di garantire una lunga carriera a quella cafonata di Valeria Marini – lodata amica dalle medesime ipercritiche del modello pin-up, nocivo alla società e alla femminil dignità – ammettiamo pure, e con gioia, che altre ci provino. In fondo il tipo ha un notevole successo commerciale (perché è di questo che si parla, o no?). E mica offende qualcuno. Pur riproducendo chiaramente un oggetto ai fini del consumo maschile, si tratta di oggetto gioioso, positivo, costruttivo. Smuove poco, è vero, ma quel poco non nuoce. Anzi. Le donnuzze dalla sana moralità avranno il compito facilitato nel distinguere il male dal bene, e quelle dallo scivolone agevole avranno una conferma, un monito a non mascherarsi, un invito a cacciare le corone (parliamo anatomicamente) da dietro alla griffe. Altra taglia invece una sua collega. Federica Rosatelli, quella lunga, snella, bionda, romanaccia che ha la puzza sotto al naso perché ha il cesso in bocca (come dice un amico), e che programma un matrimonio con tizio dalla carriera eccellente, dalla proprietà equivalente, dal soldo facile, dal buon potere, indipendentemente da ogni implicazione non epidermica. Ecco, suggerirei a lei e a quelle come lei, la descrizione così ridotta all’essenza risponde ad uno specifico buon partito: mai pensato al boss mafioso?
lunedì 12 gennaio 2009
domenica 11 gennaio 2009
venerdì 9 gennaio 2009
cinemuna: No Man, la vita di ratzinger in un film satirico
mercoledì 7 gennaio 2009
lunedì 5 gennaio 2009
il capo dei capi, totò riina made in fiction
Il seguito della fiction “Il Capo dei Capi” si chiama “I Capi del Capo”. Invertendo l’ordine, si dimostra, il risultato è poco ma profondamente diverso. Poco, perché sempre di merda si tratta, e per quanto il naso fino ci riconosca pietanze sono pur sempre pietanze trapassate a merda. Ma profondamente, perché mentre il capo dei capi dice: al di là di quanto capo possa essere stato ciascun capo, c’è un altro capo, un solo capo, che è capo a tutti; al contrario i capi del capo dice: nonostante il capo sia stato formalmente tale, e grande, si deve ammettere l’esistenza nell’ombra di una ulteriore schiera di capi. Ne consegue che il punto di vista della narrazione sarà diametralmente opposto. E dalla nuova angolazione si proverà a rispondere a tutti i periodi sospesi della precedente fiction. Si faranno i nomi dei politici di Roma, dei parlamentari e dei sottosegretari. Dei capi del capo proprio. Di coloro che, filo nella destra e tessera dc nella sinistra, hanno usato chistu meschino contadino. Che prima l’hanno sguinzagliato perché gli procurasse i voti e poi, cuanno era che s’era rosicato tutti ‘e radici, l’hanno lasciato solo. Qui stiamo stretti su Totò Riina, sui suoi dubbi, sui suoi dilemmi, sulla profondità a cui vanno interrati i semi di pomodori, sulla puntualità della trebbiatura, sul nuovo e modernissimo tipo di innesto, sul problema del mangime geneticamente modificato, eccetera. Insomma, issu viddano è, e travaglia ‘a terra. Autri sono i veri capi, talmente tanto capi da essere capi pure al capo dei capi (che già era abbastanza capo p’addivenire capo di tutti gli altri capi). Talmente capi che il capo non ha capito che aveva da capire prima chi erano i veri capi: se lui, il capo dei capi, o loro, i capi del capo.
Si vocifera già di un ulteriore episodio della fortunata saga. Dopo “Il capo dei capi” e “I capi del capo”, pare sia in lavorazione “Il cappio del capo”. Ma sarebbe un’altra storia, e si ambienterebbe in Iraq.
(Post segnalato sul sito del Riformista)