L’incatenatore è Giorgio. Non posso esimermi. Ma, visti i suoi gusti, e sapendo i miei, gli darò dispiacere.
Il primo punto è l’elenco dei nomi di cinque poeti di cui si è innamorati. Questa non è l’epoca della poesia: la poesia è un balzo senza protezione, una scelta totale senza compromessi; questa è l’epoca dei compromessi; questa non è l’epoca della poesia. Inoltre, il mio tempo soggettivo non è il tempo della poesia. Il tempo della poesia è il momento d’ebbrezza soggettiva, forse l’adolescenza. Questa epoca è l’esaltazione della facilità compositiva, e il mio tempo soggettivo ne risulta intossicato, nauseato. L’istruzione bene o male impartita e ricevuta, la cancellazione dell’analfabetismo, ciò potenzia ogni singola voce: legittima alla penna. Ciascuno può indagare, stendere – ancor più che la forma è aperta o disintegrata. Questa epoca generalizzando la poesia l’ha uccisa. I cinque nomi che faccio sono allora scorie del mio tempo vergine, quello in cui ero io solo con il libro, candele e spinelli adolescenziali, nuovi condotti: Verlaine, Rimbaud, Gòngora, Garcia Lorca, Neruda (ah si indigna il bel Giorgio!), il Rafael Alberti di Sobre Los Angeles (non il trombone comunista). Ma non sono amori né innamoramenti. L’amore è necessità di prendere e penetrare. Forse solo in Lorca entrerei.
Il secondo punto vuole che si citino versi dei poeti di sopra. Inizio con Explico Algunas Cosas, da “Espana En el Corazòn” di Neruda, della quale metto solo inizio e fine per ragioni di impazienza mia cronica:
Chiederete: ma dove sono i lillà?
E la metafisica coperta di papaveri?
E la pioggia che fitta colpiva
Le sue parole, riempiendole
Di buchi e uccelli?
(…)
Generali
Traditori:
Guardate la mia casa morta,
Guardata la Spagna spezzata:
Però da ogni casa morta esce metallo ardente
Invece di fiori,
Da ogni foro della Spagna
La Spagna esce,
Da ogni bambino morto esce un fucile con occhi,
Da ogni crimine nascono proiettili
Che un giorno troveranno il bersaglio
Del vostro cuore.
Chiederete: perché la tua poesia
Non ci parla del sogno, delle foglie,
Dei grandi vulcani del paese dove sei nato?
Venite a vedere il sangue per le strade,
Venite a vedere
Il sangue per le strade,
Venite a vedere il sangue
Per le strade!
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Continuo e finisco con La Aurora, da “Poeta en Nueva York” di Garcia Lorca:
L’aurora di New York ha
Quattro colonne di fango
E un uragano di negre colombe
Che guazzano nelle acque putride.
L’aurora di New York geme
Sulle immense scale
Cercando fra le lische
Tuberose di angoscia disegnata.
L’aurora viene e nessuno la riceve in bocca
Perché non c’è domani né speranza possibile.
A volte le monete in sciami furiosi
Trapassano e divorano bambini abbandonati.
I primi che escono capiscono con le loro ossa
Che non vi saranno paradisi né amori sfogliati;
sanno che vanno nel fango di numeri e di leggi,
nei giochi senz’arte, in sudori infruttuosi.
La luce è sepolta con catene e rumori
In impudica sfida di scienza senza radici.
Nei sobborghi c’è gente che vacilla insonne
Appena uscita da un naufragio di sangue.
Il terzo punto della catena chiede un proprio componimento. Fino ai diciotto diciannove anni avevo dimestichezza con poesie incolte. Consideravo la poesia un servizio di scolo per eccessi d’identità, come se la scrittura consistesse in una cancellazione. Ho quaderni e quaderni di lampi che restano sepolti dal pudore, che si nutrono del buio e ne dipendono. Un immenso ginnasio d’immagini. Apro un quaderno a caso, ci sono disegni di calciatori, sparatorie diciassettenni, e c’è:
Veste su veste
Manna su manna
Bestie dal parto docile
Sodomizzano vergini agri
Fiato sfrontato
Derma accaldato
Gli uni sugli altri
Cedono i rami
Dai troppi frutti
Sbarcano su mari
D’uomini le terre
E la pioggia è sudore
E la pioggia è sudore
Il quarto punto della catena richiede un componimento brevissimo appositamente creato e pubblicato. Poche sere fa provavo a sgambettare in bici nella periferia napoletana finché ho capito che necessitavo di una preparazione di tattica militare ed adeguati strumenti topografici: i cumuli di immondizia vanno affrontati solo in ripida discesa: trovare percorsi che permettano salite pulite: scansare le strade che collegano i piccoli centri: sono discariche inconsapevoli. Avevo intenzione di scriverne un post. Ma credo che sia una buona occasione per la penultima mia poesia (mi riservo l’idea dell’ultima poesia per quando non avrò più affanni):
Notte fresca,
putrida notte fresca.
Verdi digestioni dei neonati
incollano all’asfalto il sebo dei pini in agonia,
spine di latta, birra a pisciate, ombre di spigole
spicchi d’ombra.
Intestini di lattughe vestono ruggine,
ogni umore ha un materasso ingravidato
quando tre cani freschi
- putridi cani freschi
pelli di lana antica e costole d’ottone-
specchiano nell’olio delle narici
un odore d’abbondanza
in disadorna morte.